Di seguito, il testo integrale dell'intervento svolto dal Presidente della Regione, Nichi Vendola, nel
corso della cerimonia di inaugurazione della 77esima edizione della Fiera del Levante:
Sig. Presidente del Consiglio, caro Enrico,
la mia generazione è stata educata a tessere una relazione costante tra "ottimismo della volontà" e
"pessimismo dell'intelligenza", affinché l'analisi sucida e spietata degli snodi della realtà non si
tramuti mai in paralisi dell'azione e in ripiegamento nel proprio "particulare".(...)
Questa è la ragione per la quale, sia pure da oppositore del tuo governo, io apprezzo sinceramente il tuo sforzo di investire su quel capitale di fiducia che occorre preservare e consolidare per dare una prospettiva
all'Italia. E poiché credo di capire la gravosità e l'intensità morale del tuo impegno e del tuo
compito, vorrei dirti non solo che ascolterò con grande rispetto e attenzione le tue parole ma che,
nel rappresentare la Puglia, sarò sempre fedele al dovere di leale collaborazione con il tuo
governo. Certo, l'Italia ma anche l'Europa sono in grande affanno. Si fa fatica a scorgere il punto di
luce che segna la fine del tunnel, la fuoriuscita dalla crisi, un nuovo inizio per l'economia e una
nuova speranza per le giovani generazioni. La recessione non è alle nostre spalle, ma è tutta ancora
sulle nostre spalle. La produzione industriale continua a essere strozzata, e si combatte territorio per
territorio, a difesa di ciò che resta, ma senza che nell'ultimo ventennio si sia messa in campo una
visione organica di ciò che l'Italia vuol fare, di ciò che vuole essere nel mondo.
Il non-lavoro è il piano inclinato su cui scivolano nel vuoto le competenze, i talenti, i bisogni di futuro, mentre nel nostro asfittico mercato del lavoro i contratti di precarietà superano percentualmente i contratti a
tempo indeterminato. Nel contesto di un sistematico attacco al Welfare, precarietà e povertà si
impastano come l'acqua con la farina, generando un sentimento di inquietudine collettiva, segnando
nevroticamente la psicologia del corpo sociale, scavando trincee di disagio nelle città e facendo
rimbalzare anche con violenza le schegge di mille identità che si schiantano sul muro della paura e
dell'angoscia. E se si crede di rispondere all'esplosione anche rabbiosa di quel dolore sociale, che è
smarrimento e persino follia individuale, con esercizi di contenimento e di controllo militare,
davvero ci si illude. La povertà è il grembo in cui si generano multiformi e devastanti insicurezze,
l'esproprio di reddito e di protezione è l'estuario in cui sfociano frustrazioni, rancori, solitudini.
La povertà mina la coesione e la tenuta democratica, soprattutto quando trancia di netto il paradigma
novecentesco del progresso e dell'emancipazione, quando manda in blocco gli ascensori sociali,
quando è impoverimento di massa, quando trascina nel gorgo i corpi intermedi della società, quando
appunto diviene rinsecchimento delle basi produttive della nazione, quando registra lo smottamento
di pezzi crescenti di quella piccola borghesia d'impresa che muore perché non ha ossigeno, perché
non ha accesso al credito, perché non incassa il dovuto dalle pubbliche amministrazioni. E in questi
giorni non trovi imprenditore che non racconti di come si stia ora ulteriormente restringendo
l'offerta del sistema bancario. La scuola e l'università sono al collasso e chiedono non cure
palliative ma interventi radicali di riqualificazione e di rilancio: giudico positivo il primo avvio di
una inversione di tendenza, dopo anni di tagli ragionieristici quanto sconsiderati agli apparati della
formazione. [...]
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