Distretti: la mappa dell'Italia "che va"

Immagine associata al documento: Distretti: la mappa dell'Italia "che va" Conta 278mila imprese, 1,4 milioni di addetti, crea 75 miliardi di Pil, ha un saldo attivo import-export di 77 miliardi di euro

C'è (ancora) un'Italia che va. Ha perso qualche pezzo in questi anni, cedendo fatturato e riducendo occupazione, ma ha conquistato notevoli quote di mercato all'estero, arrivando a superare lo scorso anno i 77 miliardi di euro in termini di saldo commerciale. Un'Italia ancorata al proprio territorio, che si riposiziona e individua nuove strategie, che si evolve ed innova. Sfatando così almeno due miti: che la globalizzazione avrebbe azzerato la connessione tra impresa e territorio e che i settori "maturi" sarebbero stati sopravanzati dalla concorrenza dei Paesi emergenti. Questa Italia "che va", che guarda al domani con qualche speranza, è l'Italia delle 278mila piccole e medie imprese operanti nei 100 distretti monitorati dall'Osservatorio nazionale, nei quali operano quasi 1,4 milioni di addetti e alle quali si devono circa 75 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto. Considerando il complesso delle aree distrettuali, queste imprese concentrano oltre il 50% dell'occupazione manifatturiera italiana.
Un modello - tutto italiano - il cui campione assoluto (in termini di performance economiche nel 2013) è il Metadistretto alimentare Veneto, "tallonato" da due leader toscani: il distretto delle pelli cuoio e calzature di Valdarno Superiore e quello del tessile-abbigliamento di Empoli. Un'Italia che delocalizza meno (e che in qualche caso addirittura dall'estero ritorna "a casa") e che cerca sempre di più la strada della collaborazione con altre imprese (anche all'estero) per essere competitiva.
E' questo il Paese "reale" che viene descritto nel Rapporto sui Distretti 2014, promosso da Unioncamere e presentato oggi a Roma.

"La proiezione sui mercati internazionali delle filiere distrettuali ha il suo fondamento in quella cultura del produrre fatta di qualità, genialità, tradizione che nessuno potrà mai imitare, perché ha valori fondanti nel territorio e nei saperi locali, che la globalizzazione esalta anziché distruggere", ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. "Ma nelle filiere lunghe come in quelle a chilometro zero, il territorio potrà continuare a rappresentare un forte vantaggio competitivo solo a patto che le aziende vi riescano ancora a trovare una risposta rapida ed efficace alle proprie istanze: in termini di servizi avanzati, ricerca, innovazione, formazione, strumenti finanziari, fornitori specializzati. Le Camere di commercio - di concerto con gli altri soggetti che operano accanto alle imprese e per le imprese - rappresentano l'indispensabile cinghia di trasmissione tra le esigenze di ogni singolo territorio e la risposta che le istituzioni possono dar loro".

L’identikit dei distretti
Malgrado la crisi e la globalizzazione, i distretti si configurano ancora come comunità di imprese e di valori economici e sociali ben precisi, con un fortissimo legame con il territorio di appartenenza. Almeno due dati dimostrano questo forte radicamento: quasi il 28% delle imprese distrettuali si avvale di subfornitori abituali che operano all’interno della stessa provincia (contro il 15% delle imprese non distrettuali); solo il 13% delle imprese distrettuali (a fronte del 15% delle attività esterne al distretto) ha i principali fornitori di componenti e semilavorati all’estero. Una percentuale piccola ma significativa, pari al 2,5%, di imprese dichiara oggi di non avere intenzione di intensificare gli investimenti all’estero o addirittura di progettare di far ritorno in patria, pur avendo delocalizzato in passato. Tre i segni distintivi di questo modello: la priorità data alla qualità dei prodotti e dei processi; la preminenza della forma di impresa familiare; il radicamento e la tradizione produttiva del territorio. Il ruolo sociale dell’impresa nel distretto e quindi nella dimensione locale di appartenenza emerge da diversi aspetti dell’indagine realizzata da Unioncamere sulle imprese distrettuali. In particolare, per più dell’80% del campione, l’impresa oltre ad essere strumento di profitto è, a pieno titolo, soggetto attivo del territorio, comunità di persone, struttura portatrice di valori della dimensione locale di appartenenza.

Una ripresa fragile ma possibile nel 2014
Un leggero, ma incoraggiante, cambiamento di clima. E’ quello che percepiscono le imprese operanti nei 100 distretti monitorati dall’Osservatorio: rispetto al 2013, la percentuale di imprese che indica un possibile incremento delle principali variabili economiche è maggiore di quanto rilevato alla fine del 2012. Superiore è anche la quota di chi prevede una crescita del fatturato e dell’occupazione. A trainare saranno soprattutto le vendite sui mercati internazionali: il 52,5% delle aziende distrettuali prevede, infatti, un aumento degli ordini esteri (alla fine del 2012 tale percentuale si attestava al 37,4%). Malgrado questi segnali, l’incertezza comunque resta diffusa: solo il 13% delle imprese infatti ritiene che il distretto di appartenenza nell’arco dei prossimi tre anni avrà superato definitivamente la fase critica. All’incertezza tuttavia le imprese dei distretti rispondono con l’azione, continuando a puntare sulla qualità, considerata il primo vantaggio competitivo da quasi la metà delle imprese distrettuali. Il 74% delle aziende analizzate, infatti, ha indicato di essere impegnata nella sperimentazione di nuovi prodotti ed il 38% di voler adottare tecnologie di produzione finalizzate al risparmio energetico ed a basso impatto sull’ambiente. Un numero elevato di strutture produttive inoltre sta mettendo in atto strategie organizzative e di mercato, dirette in particolare a razionalizzare costi e rendere efficiente l’offerta di prodotti attraverso politiche di pricing (rispettivamente, l’83,3% ed il 73,8% delle imprese ha indicato di voler perseguire tali obiettivi); nuovi investimenti in attività di progettazione e di diversificazione della produzione (71,5%); ricerca di nuovi mercati o di nuove nicchie di mercato (quote superiori al 50% del totale); accrescimento del controllo dei canali distributivi dei prodotti (49,6%); investimenti nelle applicazioni e nelle tecnologie informatiche (49,5%). Ma per tornare davvero a volare, alle istituzioni le imprese chiedono di alleggerire il peso fiscale (indicato dal 43,3% degli intervistati); rendere meno stringenti le condizioni di credito bancario (31,4%); introdurre incentivi ed agevolazioni per l’acquisto di macchinari e attrezzature (10,7%).

Le performance del 2013: un primo punto di svolta nel lungo ciclo della crisi
Che l’Italia dei distretti sia, anche in un difficile 2013, l’“Italia che va” si evince dalle risposte relative all’andamento nel 2013 e al confronto con le analoghe risposte fornite dalle imprese non distrettuali. Riguardo al fatturato, se per le imprese distrettuali la differenza tra aumento e diminuzione è pari al +2 punti percentuali, per le imprese non appartenenti ai distretti è -1,4. Nel caso dell’occupazione, l’analoga differenza è pari a -7,9 punti percentuali per le imprese dei distretti a fronte di -4,6 punti percentuali per le attività non distrettuali. In questo caso, tuttavia, la reale differenza è fornita dalla quota più consistente di imprese appartenenti ai distretti (54,8%) che hanno dichiarato di aver mantenuto stabile l’occupazione, mentre tra le imprese non distrettuali l’analoga quota è più contenuta (51%). Sul fronte delle esportazioni, poi, se il saldo tra aumento e diminuzione è pari a +27 punti percentuali nel caso delle imprese dei distretti, quello riferito alle imprese esterne all’ambito del distretto è di +25,4 punti percentuali. Nel 2013, in ogni caso, le aziende dei distretti hanno colto un primo miglioramento dal lungo ciclo della crisi. Infatti, rispetto all’analoga indagine realizzata da Unioncamere sui risultati del 2012, aumenta la percentuale di imprese che segnala un incremento del fatturato, dell’occupazione e delle esportazioni. A livello settoriale, i comparti dell’abbigliamento-moda, del mobile-arredo e quello alimentare (le cosiddette “3 A” del made in Italy) sembrano avere un po’ più di tono sul fronte del fatturato e delle esportazioni rispetto alla meccanica, che comunque mantiene sempre buone posizioni e resta ai primi posti per livelli di export sia nei distretti che al di fuori di essi.

Saldo import-export: 77 miliardi di euro nel 2013
Un record di 77 miliardi di euro nel saldo attivo tra esportazioni e importazioni nel 2013, cresciuto tra il 2007 e il 2013 di oltre 18 miliardi, 7,4 dei quali solo nell’ultimo anno. Sono i numeri del primato che le imprese dei distretti italiani detengono rispetto alle altre attività produttive non distrettuali. Le aree caratterizzate dalla presenza prevalente di grandi gruppi, connotate in passato da un saldo commerciale negativo (con un’unica eccezione nel 2009), negli ultimi due anni hanno anch’esse conosciuto un surplus con l’estero, ma di entità pressoché trascurabile rispetto alle aree distrettuali (solo 505 milioni nel 2013 e appena 57 nel 2012). Nei sette anni esaminati, si mantengono invece ampiamente negativi i saldi commerciali delle aree urbane, dove si concentrano le attività a carattere più marcatamente terziario. Scendendo nel dettaglio di alcuni dei comparti di attività manifatturiera distintivi delle produzioni del made in Italy, per le aree distrettuali è possibile evidenziare sensibili e crescenti livelli di specializzazione negli scambi con l’estero di macchine e apparecchi, dei quali spiegano oltre i due terzi del saldo commerciale settoriale (pari complessivamente a 49 miliardi di euro nel 2013) e negli scambi di prodotti tessili, abbigliamento, pelli e cuoio, dove il bilancio positivo (di entità che oltrepassa i 18 miliardi di euro nel 2013) è per il 90% attribuibile proprio alle aree distrettuali.   -          
 
Data Pubblicazione sul portale: 10 Aprile 2014
Fonte: Unioncamere
Aree Tematiche: Sistema Puglia
Redazione: Redazione Sistema Puglia
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