Made in, spiragli nell'Ue

  Prosegue la battaglia del tessile italiano in sede europea per l'ottenimento dell'indicazione di origine sui prodotti extracomunitari. Nei giorni scorsi infatti il parlamento Ue ha raccolto la maggioranza delle proprie firme per dare forza di legge alla proposta di regolamento emanata dalla commissione il 16 dicembre del 2005 e che attende ancora l'approvazione da parte del consiglio dei ministri europei.

Una vicenda che va avanti da anni, quella del «made in», sostenuta dalle associazioni degli imprenditori e dei consumatori, per ottenere l'obbligo di etichettatura su alcune tipologie di prodotti extra-Ue in modo che il consumatore possa riconoscerne il luogo di produzione. Un problema che riguarda non tanto i capi a basso prezzo, su cui il pubblico è disposto a chiudere un occhio, ma la fascia alta del mercato da cui invece il consumatore si attende maggiore qualità.

«Una persona si farebbe più problemi a spendere 150 € per una maglietta di marca se sapesse che è prodotta in Vietnam», ha detto Antonio Franceschini, responsabile nazionale di CNA Federmoda, che da anni porta avanti questa battaglia.

Il parlamento ha invitato cioè gli stati membri ad adottare «senza indugio», si legge nel documento, la proposta di regolamento volta a introdurre l'indicazione obbligatoria del paese di origine di alcuni prodotti importati da paesi terzi nell'Ue,» nell'interesse dei consumatori, dell'industria e della competitività nell'Unione europea».

Avendo raccolto la maggioranza delle firme dell'aula il presidente del parlamento europeo, Hans-Gert Ptittering, ha annunciato che la posizione verrà iscritta nel processo verbale trasformando così la raccolta di firme, sostenuta anche da CNA Federmoda, in una posizione ufficiale dell'aula di Strasburgo. Posizione che si aggiunge così alla risoluzione del luglio 2006 in cui il parlamento europeo aveva già sottolineato che l'indicazione del paese d'origine, per alcune tipologie di merci, favorisce l'industria europea poiché la produzione dei paesi membri è sinonimo di qualità per il consumatore. Un provvedimento che consentirebbe inoltre ai cittadini dell'Ue di non comprare beni che provengano da mercati che sfruttano il lavoro e l'assenza di legislazioni sociali. Il governo italiano, con in testa i ministri Bonino e Bersani e nella scorsa legislatura con il viceministro Urso, guida nel consiglio dei ministri il fronte del sì insieme a Francia, Spagna e Portogallo.

«Ci auguriamo», ha aggiunto Franceschini, «che questo sia un primo grimaldello per spingere nella giusta direzione il blocco dei paesi che si oppongono all'approvazione del "made in" su alcuni prodotti di importazione. Siamo in una situazione oramai paradossale in cui commissione e parlamento europeo si esprimono in un modo ma poi non se ne fa niente, in questo modo si mette in discussione il valore di queste istituzioni». A opporsi sono in particolare Germania e Gran Bretagna, che hanno fatto blocco nel consiglio dei ministri invocando le restrizioni al libero mercato che comporterebbe l'obbligo di etichetta in alcuni comparti, tra cui il tessile. La proposta di regolamento della Commissione europea riguarda anche gioielleria, abbigliamento, calzature, pelletteria, lampade, articoli in vetro, ceramica e borse. Settori che hanno visto in questi anni prevalere la dura opposizione della gdo, contraria a ogni restrizione che potrebbe allontanare i produttori dal mercato europeo. I sostenitori del «made in» invocano invece la parità di condizioni sul mercato internazionale.

Infatti l'industria europea è obbligata ad apporre il marchio di origine sui prodotti che esporta verso i partner commerciali, dagli Usa al Canada, fino alla Cina. Quest'ultima impone agli europei di specificare l'indicazione del paese di origine, importando tranquillamente nel Vecchio continente capi griffati prodotti a basso costo.       -          
 
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Data Pubblicazione sul portale: 31 Ottobre 2007
Fonte: CNA
Aree Tematiche: Sistema Puglia, Sportello Europa
Redazione: Redazione Sistema Puglia
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