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Newsletter Sistema Puglia Num. 440 di Maggio 2016

Tra le top 20 economie con il 60,6% del PIL mondiale ll'Italia è prima per occupazione nelle MPI con meno di 20 addetti con il 57,7% del totale, il doppio della media

Immagine associata al documento: La struttura produttiva italiana presenta la connotazione caratteristica data dal rilievo della micro e piccola impresa che la differenzia sul panorama internazionale. Se prendiamo a riferimento le venti prime economie di cui si dispongono di dati sulla struttura di impresa nella comparazione proposta dall'Ocse nel rapporto Entrepreneurship at a Glance 2015 l'Italia presenta la leadership per quota di occupati in micro e piccole imprese con meno di 20 addetti: tra le venti economie - che insieme rappresentano il 60,6% del Pil mondiale - l'Italia mostra una quota di occupati nelle micro e piccole imprese (MPI) con meno di 20 addetti pari al 57,5%, il doppio rispetto al 29,0% delle media, e davanti a Corea con il 54,6%, Spagna con il 49,9%, Belgio con 42,9%, Polonia con 41,8%, Messico con 38,0%, Francia con 37,1%, Israele con 36,6%, Olanda con 36,6%.
La quota di occupati in MPI è di 27,6 punti superiore al 29,9% della Germania, di 31,9 punti superiore al 25,6% del Regno Unito, di 34,9 punti superiore al 22,6% del Giappone e di 39,4 punti superiore al 18,1% degli Stati Uniti.
In Italia le MPI sono 4.222.442, rappresentano il 98,3% delle imprese, danno lavoro a 9.197.217 addetti di cui 4.360.617 sono dipendenti, generano 1.079 miliardi di euro di fatturato e producono valore aggiunto per 277,1 miliardi di euro. Nel dibattito in corso sulle politiche per la ripresa, un recente intervento dei professori Alberto Alesina e Francesco Giavazzi evidenzia, tra l’altro, la criticità della dimensione delle nostre imprese, che sono troppo piccole, sottolineando la più alta quota di grandi imprese presente in Francia e Germania. A tal proposito va evidenziata la peculiarità della struttura produttiva italiana, in cui gli occupati in micro e piccole imprese con meno di 20 addetti sono tre volte gli occupati della grandi imprese.
Inoltre la dimensione di impresa appare un fattore strutturale difficilmente manovrabile per stimolare la crescita: basti pensare che nell’arco degli ultimi dieci anni disponibili sul piano statistico – dal 2003 al 2013, periodo che comprende la più grave recessione dal dopoguerra con una forte selezione delle imprese – la quota percentuale di occupati nelle grandi imprese è salita di 0,16 punti all’anno, un ritmo che richiederebbe 106 anni per raggiungere la quota della Germania che secondo i dati dell’Ocse ha occupati in grandi imprese pari al 37,5% del totale contro il 20,1% dell’Italia. Inoltre i dati di più lungo periodo evidenziano un progressivo abbandono della grande dimensione: in trent’anni la quota di occupazione della grande impresa si è ridotta di un terzo passando dal 30,5% del 1971 al 21,4% del 2001.
Inoltre viene evidenziato che “imprese troppo piccole non hanno risorse sufficienti per investire in ricerca e sviluppo”; a tal proposito va ricordato che secondo l’ultima rilevazione resa disponibile dall’Istat nel 2013 la spesa per R&S nelle imprese aumenta del 3,4% rispetto all’anno precedente e l’aumento è trainato dagli investimenti delle piccole imprese (+18,8%), mentre scende la spesa delle grandi imprese (-1,7%).
Inoltre va sottolineato che politiche che rafforzino il sistema di micro e piccola impresa consentono di mantenere gli investimenti sul territorio italiano; a tal proposito si ricorda che il settore manifatturiero più rilevante per addetti in grande imprese – la Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi – è l’unico che registra un numero di addetti impiegati nelle imprese residenti all’estero a controllo nazionale superiore a quello degli addetti delle imprese residenti in Italia, con un grado di internazionalizzato del 106,2%.
A tal proposito va ricordato come secondo una analisi di Mediobanca: “i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale si stima abbiano realizzato nel 2014 ricavi domestici pari al 10% del giro d’affari complessivo.
La quota estera (90%) è derivata per il 24% da attività esportativa e per il 66% dalle vendite di insediamenti ubicati oltre frontiera (“estero su estero”).” (Mediobanca “Dati cumulativi di 2055 società italiane”, edizione 2015, pagina XII).[...]

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Data Pubblicazione sul portale: 05 Maggio 2016
Fonte: Confederazione generale italiana dell'artigianato
Aree Tematiche: Sistema Puglia, Politiche per lo Sviluppo
Redazione: Redazione Sistema Puglia
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